A Milano esiste una lista che non rimane mai vuota, quella degli spazi sociali da sgomberare. Una città che corre, che cambia pelle continuamente, che ama mostrarsi smart, europea e cosmopolita, che ha archiviato il ventennio del grigiore e dei vicesceriffi per imboccare la strada liberal dei Pisapia e dei Sala, ma che non riesce proprio a liberarsi da quella coazione a ripetere. Chissà perché, forse per pavidità o per mancanza di immaginazione oppure semplicemente per miopia, ma fatto sta che nemmeno la pandemia ha modificato di una virgola questo stato delle cose. E così, ora Lambretta, Torchiera e RiMake si trovano in cima a quella lista.
Ogni spazio sociale racconta una storia. Quella del Torchiera è lunga 27 anni e senza l’occupazione la cascina medievale di piazzale Cimitero Maggiore molto probabilmente non esisterebbe nemmeno più, visto lo stato di abbandono e incuria in cui versava. RiMake ha una storia molto più recente, ma ha già qualche sgombero alle spalle. Ora si trova nell’edificio dell’ex liceo Omero di Bruzzano, che era stato chiuso e lasciato vuoto alcuni anni fa a causa del calo delle iscrizioni.
In ambedue i casi le esperienze di autogestione hanno ridato vita a spazi di proprietà comunale, salvaguardandoli peraltro dal degrado. Eppure, il comune di Milano ora li mette a bando, nascondendosi dietro la grottesca definizione di “beni comunali in disuso”…
Il Lambretta è un ospite fisso della lista degli sgomberi e diversi ne ha già subiti. Ora occupa uno spazio di proprietà di privati in via Edolo. Durante la fase più difficile del lockdown anche il Lambretta, come praticamente tutti gli spazi sociali dell’area metropolitana, si era trasformato in sede e magazzino delle brigate volontarie per l’emergenza, che per mesi hanno provveduto a consegnare pacchi alimentari alle persone e famiglie che non potevano uscire di casa o non si potevano più permettere l’acquisto di cibo. Anzi, il Lambretta aveva dato vita all’esperienza forse più significativa, la Brigata Lena-Modotti.
Ma, appunto, la coazione a ripetere se ne frega e proprio quando in città la narrazione centro-sociale-uguale-casino, così cara alla destra e non solo, aveva iniziato a mostrare seri segni di crisi, ecco che bussa alla porta la notizia dello sgombero. Non c’è ancora la data, ma i rumors e le iniziative giudiziarie di una proprietà altrimenti completamente assenteista non lasciano spazio ai dubbi.
Premesso che la magistratura fa la magistratura e la polizia fa la polizia, la politica, il Comune, la città smart e liberal, invece, cosa dice, che fa? Sul Lambretta regna il silenzio più totale, ma ormai dal 2011 siamo abituati al ritornello “ci dispiace, non possiamo fare nulla, è di un privato”, salvo poi dichiarare in “disuso” e mettere a bando gli spazi quando la proprietà è comunale.
Beninteso, nessuno è così sciocco da pensare che non esistano leggi e regolamenti o che amministrare la cosa pubblica non richieda rigore, ma com’è possibile che in diverse città europee e italiane ci siano delle amministrazioni, anche di orientamento politico diverso, che in questi anni sono riusciti a confrontarsi in maniera diversa con le esperienze di autogestione, mentre a Milano no?
In fondo, si tratta di una questione di volontà politica, cioè di prendere atto che esiste -e che continuerà ad esistere- una parte di città che crede nell’autogestione e che la pratica, anche occupando degli spazi altrimenti vuoti e abbandonati. Si può anche continuare a fare finta di niente e nascondersi dietro i “non posso”, ma forse amministrare una grande città significa anche immaginare, progettare e osare.
Nel frattempo, comunque, è bene che chiunque a Milano pensi che bisogna smetterla con quella stupida lista degli sgomberi e che le esperienze di autogestione vadano valorizzate, prenda parola e posizione, sin da subito. Insomma, occorre che in città si levi una voce diversa.
So bene che non è la prima volta che diciamo cose del genere, ma oggi sono concretamente a rischio Lambretta, Torchiera e RiMake e, quindi, bisogna agire. E poi, se le cose non sono cambiate fino ad oggi, questo non significa che non possano cambiare domani.