Coalizione sociale? Apriti cielo! E così, è stata sufficiente una riunione convocata da Landini e dalla Fiom perché sul lato sinistro del mondo scoppiasse un putiferio. Prese di distanza, alzate di scudi, imbarazzi e gli immancabili sì-ma-però. È volato di tutto, persino la madre di tutti i moniti: “il sindacato non fa politica!”. Niente male, davvero, specie se proviene da chi, pur di non disturbare il proprio partito di riferimento, non aveva fatto mezzo sciopero contro la peggior riforma delle pensioni degli ultimi decenni.
Ma tutto questo trambusto non è necessariamente un male, poiché in fondo conferma che l’iniziativa ha colto nel segno. Si sa, la lingua batte dove il dente duole e l’inefficacia, l’inconcludenza e, in ultima analisi, l’irrilevanza dei percorsi messi finora in campo alla sinistra di Renzi sono ormai conclamate.
Siamo molto bravi a fare il tifo per gli altri, per Syriza e per Podemos, molto meno a indagare e leggere le dinamiche sociali, culturali e politiche che hanno reso possibili quelle esperienze. Ambedue, pur nelle loro significative diversità, sono il prodotto di condizioni e scelte precise, dall’immersione nel sociale e nei conflitti fino alla rottura con le pratiche e i ceti politici preesistenti, senza peraltro cadere nelle eterne trappole del minoritarismo o del tatticismo. Insomma, non risolveremmo nulla e non convinceremmo nessuno se pensassimo di cavarcela con una spolveratina di Syriza e Podemos sulle sinistre così come oggi si presentano.
La proposta o, meglio, il percorso della coalizione sociale forse non sarà la soluzione a tutti i nostri mali, ma intanto ha due innegabili meriti che la rendono molto preziosa. Primo, nell’inerzia che pervade la sinistra segna un movimento, una novità, un’azione. E non è poca cosa. Secondo, pone il problema nella maniera giusta, cioè non a partire dai conciliaboli di gruppi dirigenti il più delle volte esausti, bensì a partire dalla necessità di ri-costruire anzitutto una soggettività e un campo sociale, che diano nuovamente sostanza politica e culturale e forza materiale a un progetto di trasformazione.
Già, perché dalle nostre parti da anni si nominano e si invocano i “nuovi soggetti”, come i precari e le precarie, e le “trasformazioni del mondo del lavoro”, ma poi, salvo qualche lodevole eccezione, non si traggono le conseguenze e si continua come prima, a livello sindacale, sociale e politico. E nemmeno la sonora sconfitta incassata sullo Jobs Act, perché di questo si tratta, sembra aver spezzato questa inerzia o, almeno, aperto una riflessione vera. Eppure, quella sconfitta racconta di un mondo diverso da quello che molti gruppi dirigenti continuano ad avere in testa, di rapporti di forza sociali cambiati drammaticamente e di un’egemonia culturale che si è accasata ormai stabilmente dall’altra parte.
Ci dirà il futuro se quella della coalizione sociale sarà la strada capace di portarci a qualche destinazione o se la Fiom, soggetto “tradizionale”, potrà essere il motore della costruzione di un nuovo campo sociale in grado di confrontarsi e scontrarsi non tanto e soltanto con il renzismo, ma con le politiche liberiste e di austerità dominanti in tutta Europa, oppure se sarà effettivamente possibile costruire alcunché di significativo finché perdura l’assenza di movimenti e conflitti sociali estesi. Ma l’idea è senz’altro convincente, va nella giusta direzione e propone un’iniziativa concreta. E purché si lavori per coalizzare, nella loro pluralità, le pratiche sociali, più che i gruppi dirigenti, ora e qui vale la pena investirci seriamente.
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