Sabato 11 febbraio, in occasione del 18° anniversario del sequestro di Abdullah Ocalan, le comunità e organizzazioni curde di tutta Europa scenderanno in piazza, a Strasburgo per la mobilitazione continentale e a Milano per la manifestazione nazionale delle comunità italiane e ticinese. È la prima volta che Milano ospita una mobilitazione curda di dimensione nazionale e questo consegna alla città e ai territori vicini una responsabilità particolare, anche perché l’attuale scenario in Turchia e Medio Oriente richiede che venga urgentemente rilanciato il sostegno al popolo e ai movimenti curdi. E, beninteso, non si tratta di una semplice questione di solidarietà, ma anche -e forse soprattutto- di schierarsi con chi oggi nella martoriata area mediorientale rappresenta la più significativa opzione politica che rifiuta sia i settarismi religiosi ed etnici che la riproposizione di regimi dittatoriali, per investire invece sull’autogoverno democratico e sulla convivenza pacifica. E non solo a parole, ma anzitutto con i fatti, come dimostra l’amministrazione dei territori strappati all’oscurantismo sanguinario dell’Isis.
Già, la Siria del nord, il Rojava, il Kurdistan siriano, vi ricordate? Sono passati poco più di due anni dall’epopea di Kobane, quando i guerriglieri e, soprattutto, le guerrigliere delle YPG/YPJ erano diventati di moda in mezzo mondo. I curdi allora erano gli eroi da celebrare, il bene che scacciava il male. E mentre nella distratta e un po’ ipocrita Europa le immagini delle combattenti curde conquistavano anche il mainstream, nella realtà reale le nubi cominciavano ad addensarsi sulla testa dei curdi. A Dyarbakir, Suruç e Ankara iniziavano ad esplodere bombe che facevano strage di curdi e di solidali e il regime di Erdogan interruppe bruscamente e unilateralmente il dialogo con il Pkk, riaccendendo la guerra nel Kurdistan turco. E non si trattava semplicemente di guerra contro formazioni armate, ma di guerra contro tutto ciò che sa di curdo. Da allora centri urbani, come Cizre, sono stati praticamente rasi al suolo, la popolazione civile curda viene trattata come un nemico e i sindaci e amministratori locali democraticamente eletti, ma appartenenti ai partiti curdi legali vengono rimossi e arrestati. Infine, è arrivato l’ultimo salto di qualità, con l’occupazione militare turca di fette di territorio nel nord della Siria e dell’Iraq in funzione anticurda e con la campagna di arresti di parlamentari del partito filo curdo, Hdp, compresi i due co-presidenti Selahattin Demirtas e Figen Yuksekdag.
In Turchia il regime di Erdogan sta marciando velocemente verso la dittatura. Infatti, i metodi repressivi e autoritari adottati assomigliano sempre di più a quelli utilizzati dalle dittature militari che nel recente passato avevano insanguinato il paese. La stessa architettura istituzionale sta subendo una veloce involuzione, grazie a una riforma costituzionale in senso iper presidenzialista, che di fatto equivale a consegnare al Presidente tutti i poteri e ad istituzionalizzare lo stato di emergenza in vigore dal fallito tentativo di colpo di Stato dell’anno scorso. Il progetto di Erdogan è chiaro e, soprattutto, non tollera opposizioni e dissensi. Per questo, anzitutto, il movimento curdo e democratico deve essere spazzato via con ogni mezzo, dal parlamento, dalle città e dai villaggi.
Il futuro immediato del popolo curdo si prospetta difficile, anche considerando lo scenario internazionale. L’accordo Erdogan-Putin ha consegnato al regime turco nuovi spazi di manovra nell’aggressione militare al Rojava e l’avvento della presidenza Trump negli Stati Uniti rischia di giocare anch’esso contro i curdi, considerato che le prime mosse nell’area mediorientale dell’amministrazione USA indicherebbero una visione da superfalchi repubblicani, tutta schiacciata sugli interessi dei governi di Israele e Arabia Saudita. In altre parole, manca solo il recupero della piena sintonia con il regime turco.
E l’Europa? Già, i governi e l’UE fanno qualche dichiarazione preoccupata, dicono che non va bene quello che accade in Turchia e che i parlamentari eletti non andrebbero messi in prigione, ma poi non succede niente. Anzi, tutto continua come prima perché la Turchia, a tal fine generosamente finanziata dall’Europa e dichiarata “paese sicuro”, deve bloccare i profughi prima che arrivino qui. Dei nostri media mainstream, di quelli che fino a poco tempo fa esaltavano gli eroi di Kobane, meglio non parlare. Infatti, nella migliore tradizione embedded, si sono adeguati subito alla nuova narrazione e così, dei curdi non si parla quasi più, se non per associarli nei Tg a qualche attentato.
Insomma, per non farla lunga, il popolo e il movimento curdo hanno bisogno della nostra solidarietà e del nostro sostegno. E ne hanno bisogno ora. Per questo è importante schierarsi, pubblicamente e apertamente, e partecipare e fare partecipare al corteo nazionale dell’11 febbraio.
L’appello alla mobilitazione degli organizzatori italiani, cioè UIKI – Ufficio Informazioni del Kurdistan in Italia, Comunità Curda in Italia e Rete Kurdistan Italia, si può leggere sul sito di UIKI. Le adesioni al corteo vanno inviate a info@uikionlus.com e info@retekurdistan.it.
Per gli aggiornamenti, l’elenco delle adesioni e le info sul corteo vi segnalo l’evento facebook. E visto che ci siete, condividetelo per favore con i vostri amici.
L’appuntamento per il corteo è sabato 11 febbraio, ore 14.00, Corso Venezia, angolo via Palestro, Milano.