In via Corelli a Milano sta tornando il passato. Il governo ha deciso di chiudere la struttura di accoglienza per richiedenti asilo, il Cas, per riaprire al suo posto il centro di detenzione amministrativa per migranti, chiuso cinque anni fa.
Allora si chiamava Cie, e prima ancora Cpt, ora invece si chiamerà Cpr, ma è la stessa cosa, cioè un posto con le sbarre dove vengono messi in stato di detenzione, senza aver commesso reati, senza processo e senza mai vedere un giudice ordinario, cittadini non comunitari che non sono in regola con i documenti di soggiorno.
Chiudere una struttura di accoglienza, per mettere al suo posto una struttura carceraria è peraltro un atto più che emblematico dell’intero discorso pubblico governativo e salviniano in materia di immigrazione.
Tutte le scelte fatte in questo inizio legislatura, non ultimo il cosiddetto decreto Salvini, tendono a comprimere drasticamente l’area della regolarità, diminuendo il numero di permessi di soggiorno concessi e di richieste di asilo accolte e riducendo ai minimi termini le strutture e i finanziamenti destinati all’accoglienza, per spostare sempre di più il peso sul piano securitario e repressivo.
E quindi, rieccoci al rilancio dei Cpt-Cie-Cpr e non perché servano concretamente a gestire e facilitare le espulsioni e i rimpatri coatti, che poi sarebbe l’obiettivo che li motiva e giustifica, ma perché nella loro materialità e disumanità rappresentano un potente simbolo politico e culturale, a perenne testimonianza, per autoctoni e migranti, che “la pacchia è finita” e il “buonismo” pure e che ora “si fa sul serio” e che “dalle parole si passa ai fatti”.
E se al riguardo ci dovessero essere ancora dei dubbi, basterebbe fare due conti. Prendiamo, anzitutto, le stime sul numero di cittadini stranieri irregolari presenti in Italia, che sarebbero circa mezzo milione (stima 2017 della Fondazione Ismu). A questi andrà poi aggiunto un numero imprecisato di nuovi irregolari per effetto degli interventi governativi sulla concessione dell’asilo e dell’abolizione del permesso per motivi umanitari, previsto dal decreto sicurezza. Insomma, un totale di 6-700 mila persone che, secondo Salvini, sono tutte da espellere.
Ora prendiamo il sistema dei Cpr, i Centri di permanenza per il rimpatrio. Qui di numeri non ne abbiamo, perché queste strutture sono in larga parte ancora da costruire o ricostruire, essendo i Cie andati in disuso nel 2014 dopo un ciclo di proteste e rivolte, e non sappiamo neanche quanti ne verranno effettivamente riaperti.
Facciamo dunque riferimento ai numeri storici relativi ai Cie allora esistenti: nel momento della loro massima espansione erano 13 per un totale di un massimo di 1900 posti disponibili. Quello di via Corelli, l’unico per tutta la Lombardia, aveva una capienza massima di 130 posti. Consideriamo inoltre che, sempre secondo dati ministeriali, la percentuale di trattenuti nei Cie poi effettivamente espulsi era rimasto sempre sotto il 50%.
Insomma, se qualcuno facesse al sistema dei centri di detenzione amministrativa una bella due diligence, considerando altresì che il costo economico per ogni trattenuto è nettamente superiore ai famigerati “35 euro regalati ai clandestini”, non potrebbe che raccomandarne la chiusura immediata per manifesta inefficienza e anti economicità. Ma appunto, il discorso è tutto politico e c’entra poco con gli obiettivi formalmente dichiarati.
Anche la nostra opposizione alla riapertura di questi centri, in via Corelli e ovunque, ha peraltro motivazioni ben più profonde di qualche calcolo contabile. Già, perché in quei luoghi non ci finiscono oggetti, ma persone, il cui unico torto è quello di non essere in regola con il permesso di soggiorno e di essere stati sfortunati. Non hanno commesso reati e non sono accusati di averli commessi, perché altrimenti finirebbero davanti a un giudice o in carcere. No, loro un giudice vero non lo vedranno mai e non hanno nemmeno il diritto di essere chiamati “detenuti”. Li chiamano, infatti, “trattenuti” o “ospiti” e vengono privati della loro libertà personale, cioè di un bene costituzionalmente tutelato, con un semplice provvedimento amministrativo del Questore, convalidato poi da un giudice di pace, cioè da un magistrato onorario, privo delle competenze professionali necessarie e che nel caso di cittadini italiani e stranieri in regola si occupa al massimo di ricorsi contro le multa.
In altre parole, i Cpt-Cie-Cpr sono un buco nero dello stato di diritto, un luogo dove de facto la Costituzione italiana è sospesa e dove vige una sorta di apartheid giuridica.
E anche solo per questo bisognerebbe ribellarsi all’idea che luoghi come questi possano riaffacciarsi nella nostra città, nella nostra regione, nel nostro paese e, quindi, decidere di far sentire la nostra voce e di muoverci.
Ma prima di darci appuntamento alla manifestazione, va chiarita un’ultima cosa, giusto per non illuderci e pensare che il tutto si riduca a una battaglia contro Salvini.
E il riferimento non è tanto ai 5 Stelle, che comunque i provvedimenti di Salvini li votano tutti, quanto invece al Pd.
Ebbene sì, perché quella di riaprire i centri di detenzione amministrativa e di dargli il nome Cpr non è stata un’idea di Salvini e del governo Conte, bensì di Minniti e del governo Gentiloni (art. 19 decreto Minniti-Orlando). Salvini si è limitato ad individuare la location di via Corelli, per ovvi motivi di sfida all’amministrazione Sala, mentre ai tempi di Minniti si parlava per la Lombardia unicamente di Montichiari (BS).
Ma anche allargando lo sguardo nel tempo le cose non cambiano. I primi centri di questo tipo in Italia, allora denominati Cpt (Centri di permanenza temporanea), furono istituiti nel 1998 dal centrosinistra, ai tempi del Governo Prodi, con la legge Turco Napolitano. Successivamente intervenne la legge Bossi-Fini, cambiandone il nome in Cie (Centro di identificazione ed espulsione) e rendendone il regime più pesante.
E, infine, la questione non è nemmeno soltanto italiana, poiché i centri di detenzione amministrativa sono diffusi in tutto il continente e la stessa UE li considera legittimi e necessari, senza poi parlare dell’idea di esternalizzare i centri di detenzione nell’Africa settentrionale, che piace tanto al governo italiano quanto ai governi del resto dell’Europa.
In poche parole, non si tratta semplicemente di una lotta contro il Salvini-pensiero, ma di ricostruire, nella battaglia delle idee e nella materialità sociale, un altro punto di vista. Teniamone conto nella nostra campagna contro la riapertura del lager in via Corelli e in ogni altro luogo.
Il primo appuntamento concreto per non stare con le mani in mano è sabato 1 dicembre, alle ore 14.30, in piazzale Piola a Milano, per la manifestazione regionale contro la riapertura del Cpr e il decreto Salvini. Una manifestazione che non sarà un momento isolato, ma il punto di partenza di una campagna che si pone l’obiettivo di impedire la riapertura dei centri di detenzione amministrativa.
Info sul corteo e sulle adesioni, che sono in continuo aggiornamento, le potete trovare sulla pagina della campagna Mai più lager – No Cpr e sull’evento Manifestazione regionale contro i CPR e decreto Salvini. Per comunicare la vostra adesione alla manifestazione, scrivete a noaicpr@gmail.com.
Ci vediamo il 1 dicembre! E nel frattempo, condividete e diffondete!