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il blog di Luciano Muhlbauer

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A che cosa serve questa Europa?

June 29, 2015

Ma a che cosa serve questa Europa? Un interrogativo né nuovo né originale, ma che oggi, anche alla luce della gestione della vicenda greca e del dramma profughi, si pone in maniera decisamente diversa. Cioè, non si può fare finta che il passare del tempo sia indifferente, che l’accumulo di quantità non si trasformi prima o poi in qualità e che, di conseguenza, la più importante delle domande, almeno per noi, cioè se un’altra Europa sia effettivamente possibile e in che termini, non necessiti oggi perlomeno una forte ridiscussione.

Beninteso, non si tratta di riscoprire per l’ennesima volta l’acqua calda. Che il processo europeo fosse viziato all’origine dall’egemonia liberista e che la vittima sacrificale fosse il mitico modello sociale europeo lo sapevamo già. Sin dai tempi dei social forum i movimenti sociali avevano infatti puntato il dito contro l’Europa liberista e fortezza che abbatteva le frontiere per i capitali e innalzava muri contro le persone, che imponeva la privatizzazione dei servizi pubblici e la deregolamentazione del mercato del lavoro. 

No, non ci eravamo illusi sulla natura del processo di unificazione europea, anzi, ma eravamo –e siamo- anche convinti che il terreno del conflitto e la dimensione di un progetto sociale e politico alternativo fosse il livello continentale, perché il mero ritorno alle opzioni nazionali avrebbe semplicemente spalancato le porte ai nazionalismi e alle destre di ogni risma.

Ma da allora molta acqua è passata sotto in ponti e nel frattempo è arrivata anche la crisi. Le politiche dell’austerità hanno funzionato da acceleratore per una serie di dinamiche deleterie e così, ora ci troviamo di fronte a un’Europa dove le disuguaglianze si sono accentuate e dove il potere decisionale effettivo è accentrato in una ristretta cerchia sia sul piano sociale che su quello politico-istituzionale. In questa Europa non sono uguali né le persone né le nazioni. 

L’espressione forse più nitida di questo progressivo svuotamento democratico, peraltro in linea con le dinamiche prevalenti nei singoli paesi, sono quella specie di ordini di servizio regolarmente emanati da Bruxelles o Francoforte in materia non solo di bilancio, ma anche di politica economica e sociale, cioè di politica tout court. Vi ricordate, per esempio, la famosa lettera della Bce al governo Berlusconi dell’agosto 2011? Ebbene, Berlusconi si adeguò e così fecero anche tutti i successivi governi, da Monti fino a Renzi. E trattamento analogo l’hanno ricevuti tutti gli stati in difficoltà o semplicemente meno forti. 

Ma il caso più eclatante e paradigmatico è ovviamente la Grecia, che nel 2010 è stata di fatto commissariata. Da quel momento i greci non hanno più governato il loro paese e l’esecutivo e il parlamento ellenici dovevano soltanto legittimare le decisioni prese dalla Troika (Commissione europea, Bce, Fmi), che aveva addirittura piazzato i suoi funzionari negli uffici ministeriali, ed occuparsi di garantire l’ordine, cioè di reprimere le proteste. Il risultato è stato socialmente disastroso ed economicamente regressivo, mentre la situazione debitoria si è ulteriormente aggravata. E difficilmente poteva andare diversamente, visto che il piano della Troika non puntava tanto a salvare la Grecia, ma piuttosto a mettere in sicurezza le banche creditrici, anzitutto tedesche e francesi. E, ciliegina sulla torta, la Troika ha persino sbagliato tutti i suoi conti, come ha confermato persino il rapporto del parlamento europeo del 2014: “La prima e più evidente sorpresa è che le premesse del primo programma di aiuti del 2010 si sono dimostrate erronee”.

Eppure, nulla è cambiato. Anzi, visto che i greci si sono ribellati, affidando il governo a Syriza, ora chi comanda in Europa si comporta come se la Grecia fosse un suo protettorato, perseguendo esplicitamente l’obiettivo del regime change. Insomma, o fai come dico io oppure ti faccio fuori. E in questo quadro anche un referendum popolare, cioè un normalissimo istituto democratico, diventa un insopportabile delitto.

Il debito greco non c’entra, vista la sua entità tutto sommato modesta e considerato il fatto che è comunque impagabile. C’entra invece la politica, cioè il messaggio che non è permesso a nessuno modificare lo status quo e mettere in discussione il dogma liberista e i rapporti di potere costituiti. 

C’è un vulnus democratico enorme quando si afferma con la forza dei fatti che l’opinione dei diretti interessati, i famosi cittadini, è secondaria, se non dannosa. Con l’aggravante che questa deriva viene giustificata da un progetto superiore, l’Europa, che appare sempre più lontano e meno credibile. Infatti, la politica economica e sociale porta benefici soltanto a una minoranza, mentre la maggioranza vede peggiorare la propria condizione. E non si intravede neppure una chiara strategia di fuoriuscita dalla crisi economica e sociale. La politica estera europea semplicemente non esiste e tutte le decisioni che contano vengono dunque prese in ambito Nato, dove però comandano gli Usa e i loro interessi strategici (caso Ucrania-Russia dixit). C’è un intero mondo in sconvolgimento e in guerra e le migrazioni assumono proporzioni bibliche, ma l’Europa non riesce che immaginarsi operazioni di polizia, blocchi navali e nuovi muri. 

Insomma, questa Europa a che cosa serve? Così com’è serve solo a pochi, senza dubbio. E ora si mostra pure sempre più impermeabile alla dialettica democratica e sempre più autoritaria. In altre parole, sul piatto non c’è soltanto la domanda “se” cambiare, ma anche “come” cambiare. Cioè, è ancora possibile cambiare l’Europa oppure occorre romperla?

Lo so, una domanda pesante, ma ormai ineludibile, anche perché adesso ci sono in campo forze e movimenti che non solo intendono cambiare l’Europa, in senso sociale e democratico, ma soprattutto che sono sufficientemente forti per porre il problema. Una si chiama Syriza ed è al governo, l’altra si chiama Podemos ed esprime già i sindaci di Barcellona e Madrid. 

Quindi, quello che succederà in Grecia domenica, quando si voterà per il referendum, e nei giorni che seguiranno ci farà capire quale sarà il terreno con il quale dovremmo confrontarci. In ogni caso, la situazione non sarà più quella di prima.

In Politica Tags europa, euro, Tsipras, Syriza, 5 luglio, Grexit, referendum, Bce, movimenti, Podemos, grecia
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Un anno dopo, per non dimenticare, per non archiviare, per Ramy, per noi, per Milano. Questo il testo di convocazione: “Il 24 novembre 2024 ci ha lasciato nostro fratello Ramy, giovane ragazzo di Corvetto. A distanza di un anno siamo ancora qui per ricordarlo e per mostrare vicinanza alla sua famiglia e a tutti i suoi cari attraverso un memoriale. Lunedì 24 novembre alle 20.00 ci riuniamo tutti insieme in Viale dei Cinquecento, nel luogo in cui Ramy piazzava sempre con i suoi amici, per apporre una targa commemorativa. La targa avrà l’incisione di una dedica speciale, è un modo significativo e duraturo per rendere omaggio a Ramy. Alle 20.30 ci spostiamo in Piazza Gabriele Rosa per un breve concerto, il quale sarà completamente autogestito e autofinanziato, senza scopo di guadagno. Lo ricorderemo insieme attraverso una delle sue più grandi passioni: la musica, la nostra prima voce autonoma come seconde generazioni in Italia. Ramy Vive, non solo sui muri di Corvetto: ovunque e per sempre noi non lo dimenticheremo mai. R4 per sempre”
Al fianco del popolo palestinese, sui cui continua ad abbattersi la violenza dell’occupazione israeliana, mentre governi e grandi media cercano di spegnere i riflettori. Oggi a #Milano #Affori     #Gaza #StopGenocide #EndOccupation #FreePalestine #Resistenza
Parlano di pace, quando non c’è nemmeno un cessate il fuoco degno di questo nome. Israele continua a bombardare Gaza quando gli pare e piace e continua a non far passare gli aiuti umanitari che servono, mentre in Cisgiordania proseguono
Parlano di pace, quando non c’è nemmeno un cessate il fuoco degno di questo nome. Israele continua a bombardare Gaza quando gli pare e piace e continua a non far passare gli aiuti umanitari che servono, mentre in Cisgiordania proseguono la pulizia etnica e il furto di terre da parte di esercito e coloni. Cercano di far calare il silenzio. Per questo è decisivo continuare a stare in piazza, come oggi a #Milano. #Gaza #StopGenocide #EndOccupation #FreePalestine #Resistenza
Rifacciamo? 

#1917
Rifacciamo? #1917
GOOD MORNING AMERICA ✊
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SOLIDALI CON MOHAMMAD HANNOUN ✊🇵🇸
NON CI FAREMO ZITTIRE DALLA REPRESSIONE DI MELONI

Hanno dato il foglio di via da #Milano a Mohammad Hannoun, presidente di @api.italia , l’associazione palestinese che da due anni organizza le manifestazioni
SOLIDALI CON MOHAMMAD HANNOUN ✊🇵🇸 NON CI FAREMO ZITTIRE DALLA REPRESSIONE DI MELONI Hanno dato il foglio di via da #Milano a Mohammad Hannoun, presidente di @api.italia , l’associazione palestinese che da due anni organizza le manifestazioni del sabato per la Palestina. Beninteso, non lo accusano di fatti violenti, anche perché in due anni di sabati non è mai successo alcunché di rilevante sotto il profilo dell’ordine pubblico. Ma le estreme destre di governo ce l’hanno con lui perché dice le stesse cose che afferma anche il diritto internazionale, cioè che l’occupato ha il diritto di resistere all’occupante. E così, non potendolo denunciare all’autorità giudiziaria, perché non esiste nulla di cui accusarlo, passano a un provvedimento amministrativo, come il foglio di via, che ormai insieme ad altri strumenti di polizia, come il Daspo, sta infestando il nostro paese. L’intento è sempre lo stesso, zittire e intimidire chi non la pensa come il governo. Non a caso, sul movimento per la Palestina si sta abbattendo una repressione sempre più esplicita, fatta di manganelli, denunce penali e, appunto, provvedimenti di polizia limitanti la libertà personale. Massima solidarietà a Mohammad Hannoun! Se toccano un*, toccano tutt* noi! #FreePalestine

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